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Pakistan un viaggio in missione umanitaria

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PAKISTAN UN VIAGGIO IN MISSIONE UMANITARIA

Nei primi giorni di febbraio del 1999 assieme alla moglie del vice ambasciatore a Lima, ed alla presidente del NAA Nucleo Adozioni ed Affidi ,una associazione di volontariato del Canavese che si occupa di adozioni ed affidi internazionali, e su invito proprio di questa associazione mi sono recata in Pakistan in missione umanitaria. Lo scopo del viaggio da parte del NAA era quello di poter visitare un campo dove vi era un popolo di cinquemila persone che non erano mussulmani, ma bensì indù bagri che, già da tempo l’Associazione seguiva ed aiutava perché molto poveri e con un tasso di scolarizzazione quasi zero. Lo scopo della mia presenza, dato che per l’Associazione mantenevo i rapporti con le nostre Istituzioni, era quello di poter non solo visitare questo campo e le condizioni di vita di questo popolo che, anagraficamente non esisteva, era quello di poter parlare con le autorità della nostra Ambasciata e, con altre autorità di altre Ambasciate al fine di poter stabilire un piano di aiuti per questo popolo, e veder se vi erano le condizioni per poter aprire un canale per agevolare l’adozione internazionale per i bambini bisognosi ed orfani di genitori e non, in particolare per le bambine, in quanto essendo figlie di genitori indù bagri e quindi non mussulmani erano a rischio di essere ammazzate perché femmine e perché non avevano nessun diritto di esistenza anche se per la verità per le famiglie che non volevano tenere i propri figli vi era anche in quel paese la così detta ruota dove i bambini che i genitori volevano abbandonare potevano benissimo metterli in questa ruota, dove qualcuno poteva raccoglierli e prendersi cura. Tuttavia tutto ciò era possibile per i figli di religione mussulmana, ma non per chi di religione è bagri. Dopo un viaggio durato 13 ore di volo, finalmente arrivo a Karaci in Pakistan ed ad attenderci all’aereoporto troviamo il Console Italiano che con la scorta e macchine blindate ci porta dapprima in hotel, poi in consolato ed a casa sua, dove siamo state ospiti per il pranzo e cena per tutto il periodo che siamo state a Karaci. Dopo aver concordato su tutto l’itinerario sia delle visite al campo, che dei vari incontri sempre con la scorta armata di kalasmicok e macchine blindate ci muovevamo in una città dove ovunque giravi ed andavi trovavi e vedevi solo povertà e miseria. Io naturalmente ne rimasi molto colpita di ciò che vedevo in quella immensa città che ha oltre tre milioni di abitanti e dove ovunque guardavi vedevi solo povera gente, e che strideva con il lusso dell’albergo dove eravamo alloggiate. Il giorno dopo al nostro arrivo sempre la scorta armata e macchine blindate al nostro seguito ci siamo recate in questo campo dove viveva questo popolo. Ancor prima di scendere dalla macchina mi resi subito conto delle condizioni di questa gente e di come vivevano e ne rimasi talmente colpita e scossa da tutto ciò che ho visto che rimasi annichilita, mai e poi mai avevo pensato di poter vivere e vedere una situazione di persone che vivevano nelle buche scavate nella terra e che si coprivano con le frasche o rami di siepi o alberi, e che se andava bene forse dormivano e vivevano in una specie di tende fatte con quattro pali, e con un telo sopra ed una tenda per porta. Gente che dormiva e viveva nel lerciume più totale accanto al canale della fogna di un’intera città come Karaci. Gente che per vivere e non morire di fame mangiava cavallette e tutto ciò che trovava, bambini in tenera età che giocavano ed ingoiavano sassi o sterco sulla riva di questo canale non costruito, ma che era un vero e proprio fiume con la differenza che i fiumi trasportano acqua mentre questo fiume nero trasportava di tutto dalle carcasse umane, alle carcasse di animali morti . Si era presentata ai miei occhi un’immagine tipo quello che vediamo tutti noi in documentari televisivi dove vedi immagini di persone che vivono in mezzo alla sporcizia e con mosche che gli ronzano o si attaccano alla pelle, immagini di un impatto diverso da quello televisivo,immagini nude e crude che mi hanno lasciato annichilita e brasata, scuotendo tutta me stessa., immagini e situazioni che certamente ti cambiano la vita. Per quattro giorni siamo state in questo campo che accompagnate dai responsabili del campo abbiamo visitato, ascoltato e vissuto con loro, e a questa gente che ci chiedeva di tutto dal cibo ai vestiti abbiamo portato degli aiuti quali cibo, vestiario, quaderni ed anche medicine. Ho visto con i miei occhi e toccato con mani ed ascoltato realtà spaventose che mai e poi mai forse avrei pensato di poter vivere nella mia vita. Madri disposte e che ci imploravano di portar via i loro figli in particolare se erano femmine perché altrimenti non essendo loro mussulmane dovevano essere uccise, gente che per poter mangiare era costretta a contrarre debiti con i ricchi signorotti della zona che, per garanzia per la restituzione del debito li obbligava a firmare un contratto in cui si impegnavano a dare i loro figli dodicenni qualora entro un determinato periodo non saldassero il loro debito. Storie di desolazione e miseria, storie di bambini che finivano nei bordelli perché ceduti a ricchi signorotti della zona che prestavano soldi, storie di un popolo che anagraficamente non esistevano e quindi senza diritti e non riconosciuti dalle Autorità Pakistane, ma che però per assurdo avevano il dovere di pagare la tassa di occupazione del suolo alle Autorità Pakistane perché quel suolo da loro occupato era di proprietà dello Stato Pakistano. Storie, ed immagini che mi hanno annichilita sino al punto e per tutto il tempo che sono rimasta in quel campo si sono annientate nella mia mente, e che dopo il mio ritorno a casa mi sono passate davanti ai miei occhi come quando guardi la pellicola di un film, e che ancora oggi solo a pensarle e raccontarle mi fanno venire la pelle d’oca. Scene e storie di un film che non vorresti mai aver visto e non vorresti mai vedere perché fanno male e ti lasciano quell’amaro in bocca mista di disarmo e di impotenza.

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